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05/01/2010

VARIE - Repubblica: che sport è se la farmacia pesa così tanto?

Martedì 5 dicembre 2010 - Cambiare indirizzo alla base per sperare che qualcosa cambi al vertice. E l'auspicio che l'epoca degli scandali e delle positività a ripetizione al doping venga se non proprio chiusa almeno calmierata. Parli con i dirigenti del ciclismo nazionale e mondiale e su questi principi non puoi che trovare l'accordo generale. A parole. Perché poi i fatti dicono altro. Dicono, ad
esempio, che nelle categorie giovanili - parliamo anche di ragazzi dai quindici ai diciotto anni - l'abitudine a "trattamenti" farmacologici talmente complessi e insistenti da rasentare l'accanimento terapeutico, è
una prassi consolidata, riconosciuta e accettata da tutti. Atleti, dirigenti societari e ancor più dirigenti ed istituzioni sportive che fanno poco per risolvere il problema. Disintossicanti epatici, vitamine a dosi massicce, antidolorifici, sali minerali, amminoacidi, ferro, vaccini vari (antibatterici, antiinfluenzali), acido folico; e ancora; iniezioni intramuscolo ed endovenose in varie misture, pasticche in varia combinazione, prima, durante e dopo la gara, per restare solo nell'ambito delle pratiche e delle terapie lecite.

Se tutto questo diventa necessario in una società-tipo di giovani juniores come la toscana Ambra Cavallini Vangi - come è emerso nel recente caso di positività
dello junior Eugenio Bani - c'è da chiedersi di quale sport parliamo e a quali valori e valenze educative facciamo riferimento in categorie dove il risultato agonistico, pure importante, non dovrebbe essere l'unico obbiettivo. La situazione emerge drammatica nelle carte del procedimento di sospensione per positività alla gonadotropina corionica (hcg), un ormone che stimola la produzione di testosterone (l'ormone della forza e del recupero), di una giovane e validissima promessa azzurra delle ruote a pedali: il
diciottenne Eugenio Bani, fermato dopo il campionato italiano juniores del giugno scorso ad Imola. Una positività inspiegabile per tutti: atleta e dirigenti stessi. Che al momento ha una sola vittima l'atleta stesso, squalificato per 21 mesi.

Se è vero quanto afferma il giovane toscano e cioè che lui non ha subito altri trattamenti che quelli stabiliti con cadenza addirittura settimanale dalla società, c'è davvero da riflettere. Menzogne? I fatti riguardano una società chiacchierata ("perché vinciamo tanto", dicono i dirigenti); un collaboratore cacciato "perché parla troppo"; comportamenti discutibili, come l'uso del bicarbonato "per tamponare la formazione di acido lattico", spiega uno dei massimi dirigenti societari alla Procura Coni, pratica proibita secondo la legge 376/2000; un camper che segue i corridori, dove si somministrano pasticche e punture; uno zainetto con i medicinali e la sigla di un'altra società (per sviare eventuali controlli riportano i maligni) che viaggia avanti e indietro.

Ma, al di là delle responsabilità che non spetta a noi stabilire (l'atleta accusa la società che nega ogni addebito) c'è un fatto di cui tener conto di fronte a pratiche, sia pur lecite, che fanno pensare a trattamenti per polli da batteria: a te un tanto di chicchi di grano a te l'integratore, a te l'endovena,
a te la pasticca prima della gara perché non sei potuto venire nella sede del ritiro infrasettimanale dove con regolarità cronometrica gli atleti a turno vengono sottoposti alla cosiddetta "reintegrazione": punture ed endovene a go-go. "Nelle mie visite - spiega il medico sociale Stinchetti alla Procura Coni - a novembre 2008, gennaio 2009 e aprile 2009 ho prescritto vaccini
antinfluenzali, vaccini antibatterici per uso orale, complessi vitaminici di supporto (vitamina B12m B4, B1), acido folico e disintossicanti epatici (...) riguardo al Bani a gennaio un ciclo di Prefolic50 per 6 settimane (5 siringhe una per settimana), Mionevrasi per la durata di due settimane (6 siringhe suddivise due a settimana), vitamina E e C in compresse per sei-otto settimane (1 al giorno). Ad aprile ricordo di aver prescritto ancora Prefolic50, Tad 600 una fiala per due volte la settimana per circa tre settimane; vitamina B1, B6 per tre settimane (due volte la settimana). (...) Ai primi di giugno, mi sembra ma non sono sicuro di aver fatto una prescrizione simile a quella di aprile al Bani ad altri atleti, considerato che quello è il periodo di maggiore attività agonistica". Frase di per se rivelatrice: tutto è mirato non già alla cura di qualche
patologia, come dovrebbe essere, ma alla prestazione, alla necessità di accelerare recuperi e ripristinare il prima possibile le capacità atletiche spingendo in qualche modo (nelle regole in questo caso) l'organismo degli atleti. Come se recuperare rapidamente e non in via fisiologica lasciando al fisico i tempi giusti fosse una necessità impellente, manco fossimo al più
alto livello professionistico.

Tutto per cosa? Oltre alla vanagloria di dirigenti piccoli piccoli che litigano perché l'uno è seguito dai "media"
locali e l'altro no, per poter dire allo sponsor: "abbiamo centrato tot vittorie"? Facendo i calcoli si vede che quasi ogni giorno l'atleta deve assumere qualcosa o sottoporsi a qualche iniezione o pratica. La domanda viene spontanea: ma che sport è uno sport dove la farmacia pesa così tanto? Che messaggio passa ai giovani con un simile sistema che Bani stesso definisce
irrinunciabile: "Altrimenti non trovi posto né lì nè in nessun'altra squadra. Sono convinto che è così in tante se non proprio in tutte le formazioni giovanili. E' il sistema che è corrotto e ci corrompe e noi siamo
costretti ad andare dietro a queste cose altrimenti non si arriva"? E ancora: che insegnamenti possono dare ex corridori coinvolti a loro volta in vicende doping, magari rei confessi e oggi collaboratori o dirigenti di
società? Che valori si trasmettono alle categorie giovanili? Che senza l'aiuto o l'aiutino - lecito o meno che sia - non si va avanti? E cosa comporta questo clichet se non l'abitudine ad appoggiarsi a qualcosa di esterno (trattamento o farmaco che sia) nei momenti critici della vita sportiva? E cosa può portare questa consuetudine "sportiva", una volta usciti - per un motivo o per l'altro - dalla rutilante ribalta delle gare e delle vittorie, se non a far ricorso ad "aiuti" esterni che spesso si identificano con i famosi "paradisi artificiali" per dribblare la depressione? Esempi concreti e drammatici che fanno la storia triste del ciclismo attuale ce ne sono a bizzeffe. Siamo su uno scivolo molto insidioso e nessuno fa qualcosa per evitarne i rischi.
(Eugenio Capodacqua - repubblica.it)